Comune di Arezzo
provincia di Arezzo
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AREZZOIl territorio del comune di Arezzo si estende per 384,53 kmq, occupando un'area prevalentemente pianeggiante ma anche con zone di collina e di montagna. La città, principale polo di sviluppo sulla direttrice Firenze-Roma, sorge su un'altura dal dolce rilievo, al centro di un'ampia valle che costituisce il naturale punto di convergenza dei bacini del Valdarno di Sopra, del Casentino, della Val di Chiana e dell'alta Valle del Tevere. In origine forse fondata dagli umbri e poi centro etrusco, non ha subito variazioni al proprio territorio comunale dall'unità d'Italia a oggi. Tracce di antichissime mura situate sul colle di Castelsecco fanno ipotizzare una primitiva Arezzo fondata dal popolo umbro; certo è che fu anticamente una delle più potenti lucumonie etrusche. Alleata di Roma sin dalla fine del IV secolo a.C., passò sotto il diretto dominio romano nel II secolo a.C. e venne quindi coinvolta nelle guerre civili, subendo danni e distruzioni al tempo del conflitto tra Mario e Silla, avendo scelto, come molti altri municipi toscani, di parteggiare per il primo. Ripopolata con una colonia di seguaci di Silla e nel 60 a.C. da una nuova colonizzazione di romani decretata dai triumviri, Arezzo dovette assumere in epoca imperiale l'aspetto di città romana economicamente florida; superate le persecuzioni del IV secolo, nel v può considerare compiuto il suo processo di cristianizzazione. Dopo una grave decadenza durante la prima parte del Medioevo è appunto con la vicenda di una lunghissima disputa tra la sua diocesi e quella senese per il possesso di una quantità di chiese rurali (documentata per la prima volta nel 714) che la città di Arezzo si riaffaccia con una certa vivacità sulla scena della storia. Se questo conflitto, che accanto a motivi religiosi e patrimoniali sottintendeva di sicuro anche ragioni politiche, si protrasse con interventi di papi e di imperatori fino al XII secolo, a partire dal IX secolo i vescovi aretini dovettero rivestire il ruolo di massime autorità anche nella vita civile. A metà dell'XI secolo compare per la prima volta nei documenti superstiti il titolo di vescovo-conte e pochi decenni dopo è il popolo contadino a proporsi anch'esso con le sue prime forme di organizzazione comunale, in parte usufruendo della protezione vescovile e in parte assumendo crescenti atteggia- menti antagonistici, riuscendo tra l'altro a imporre al vescovo (in modo definitivo dal 1203) di abbandonare la sua residenza fortificata sul colle di Pionta e di prendere dimora nella pieve di Santa Maria all'interno dell'abitato urbano. Nel frattempo Arezzo aumentava il proprio distretto, cosicché a metà del Duecento dominava su un territorio che comprendeva la Val Tiberina fino ai confini di Città di Castello, la parte più bassa del Casentino, il Valdarno fino a Laterina, la VaI di Chiana fino a Lucignano, l'area cortonese fino al Trasimeno; e ave va, come gli altri grandi comuni toscani, vicende politiche interne assai vivaci e conflittuali, con gli scontri per il predominio nel comune tra la parte ghibellina (capeggiata dalle schiatte signorili degli Ubertini e dei Tarlati) e la parte guelfa (capeggiata dai Bostoli). Se nel corso del primo ottantennio del Duecento i mutamenti di segno politico furono più o meno sincroni e omogenei a quelli di Firenze, nel 1287 i magnati guelfi e ghibellini si coalizzarono abbattendo, con il fondamentale sostegno del vescovo Guglielmino degli Ubertini, il regime guelfo-popolare. Era l'occasione propizia per Siena e Firenze, le quali nel 1288 dichiararono guerra alla rivale, cercando di conquistarla. Sconfitti i senesi presso Pieve al Toppo, le forze aretine dovettero soccombere, nella battaglia di Campaldino, alla preponderanza dei fiorentini (1289). Firenze tuttavia non riuscì a trar profitto dalla vittoria e assediò invano la città. Morto a Campaldino il vescovo Guglielmino, dopo il presulato di Ildebrandino dei conti Guidi, venne eletto alla cattedra vescovile nel 1312 Guido Tarlati, nominato in seguito signore a vita della città. Più volte scomunicato e dichiarato eretico, come ghibellino, dal pontefice Giovanni XXII, il vescovo Tarlati rimase comunque al potere fino alla morte (1328), e designò suoi successori al governo i fratelli Pier Siccone e Tarlato. La rivalità con Buoso degli Libertini, eletto nel frattempo vescovo di Arezzo, la ribellione delle città soggette, la guerra con i guelfi perugini, le inimicizie delle altre grandi famiglie aretine, determinarono nell' arco di un decennio una situazione insostenibile per i Tarlati tanto che Pier Saccone fu costretto nel 1337 a riconoscere il predominio fiorentino su Arezzo. Riconquistata la propria autonomia in seguito alla cacciata del duca d'Atene da Firenze (1343) e repressi i vari tentativi di stabilire nella città una signoria - come quello messo in atto, nel 1377, dal vescovo Giovanni degli Albergotti -, Arezzo si dette infine, nel 1380, al re Carlo di Durazzo, che la governò tramite il suo vicario Jacopo Caracciolo sino al 1384, quando venne occupata dalle truppe del condottiero francese Enguerrand de Coucy, sceso in Italia in aiuto di Luigi d'Angiò. Poco dopo Arezzo cadde definitivamente in potere di Firenze, che riuscì a farsi consegnare la città dal de Coucy per la somma di quarantamila fiorini d'oro. Da allora la città visse un lungo periodo di decadenza e le effimere rivolte antifiorentine del 1409, del 1502 e del 1529 sono i segni tangibili del malessere di una popolazione che si sentiva trascurata e depauperata. Ricevette cure più attente sotto i Lorena e trasse un indubbio vantaggio dalla bonifica della vicina Val di Chiana, realizzata grazie ai progetti del concittadino Vittorio Fossombroni, cosicché per gratitudine verso la dinastia spodestata (ma anche per la prevalenza di un ceto agrario particolarmente conservatore) in seguito all'occupazione francese la città insorse, cacciando la guarnigione napoleonica (1799), e dando vita a quel singolare movimento sanfedista toscano che fu il "Viva Maria"; dopo la battaglia di Marengo, nell'ottobre del 1800, Arezzo veniva comunque riconquistata e sottoposta a saccheggio. Tornata sotto il governo granducale, poté giovarsi del fervore di opere pubbliche che contraddistinse l'ultima fase del governo lorenese, con l'istituzione della linea ferroviaria e il potenziamento e la modernizzazione della rete stradale; passò infine a far parte del regno d'Italia, dopo aver partecipato con una ristretta élite di cittadini alle lotte risorgimentali. Lo sviluppo continuò tra Ottocento e Novecento, come e dimostrato dalla forte crescita della popolazione, dal progressivo spostarsi del centro cittadino verso la pianura con la costruzione di nuovi quartieri, da varie iniziative industriali e commerciali. Una brusca interruzione a questo processo evolutivo fu causata dal secondo conflitto mondiale, quando per i bombardamenti aerei fu distrutto quasi il 60% degli edifici, con danni molto pesanti anche al patrimonio artistico, mentre, essendo divenuta Arezzo una base logistica delle truppe di occupazione tedesche, la popolazione partecipò con coraggio alla lotta partigiana in città e in provincia, pagando un alto tributo di vittime nelle azioni di guerriglia e nelle rappresaglie tedesche, la più feroce delle quali avvenne nella frazione San Polo il 14 luglio 1944, due giorni prima che la città venisse liberata dall'VIII armata. Con fervore ci si accinse alla ricostruzione nel dopoguerra, e già negli anni cinquanta era ripreso in pieno lo sviluppo, che tendeva ormai a conferire alla città nuovi connotati sia sotto l'aspetto urbanistico, sia sotto quello economico, sia per quello politico, giacché al definitivo declino del tradizionale cero dirigente cittadino di impronta agraria si faceva ora corrispondere scelte fortemente orientate verso la sinistra. La città nel corso dei secoli ha dato i natali a un gran numero di uomini illustri: tra questi Caio Cilnio Mecenate, uno dei più autorevoli personaggi della Roma augustea, la cui liberalità verso artisti e letterati è rimasta proverbiale, il politico e uomo di governo Arrigo Testa, fiduciario di Federico il, i poeti Cenne da la Chitarra (seconda metà XIII sec.) e Guittone (1235-1294), il pittore e architetto Margaritone (seconda metà XIIIsec.), il cosmografo Ristoro (XIII sec.), Francesco Petrarca (1304 1374), il pittore Spinello Aretino (1346-1410), lo storico e funzionario politico Leonardo Bruni (1374-1444), che fu segretario della repubblica fiorentina, Andrea Cesalpino, filosofo e medico (1519 1603), lo scrittore Pietro Bacci, detto l'Aretino (1492-1556), Giorgio Vasari, trattatista, architetto e pittore (1511-1574), Francesco Redi, autore del Bacco in Toscana (1626-1698), il musicista Marcantonio Cesti (1623-1669), Vùtorio Fossombroni, letterato, statista e ideatore della bonifica della Chiana (1754 1844) e, infine, benemeriti esponenti dell'erudizione sette-ottocentesca, Gian Francesco Gamurrini e Ubaldo Pasqui. In età antica Arezzo doveva distinguersi per un'attività economica fiorente, basata su un'agricoltura abbastanza ferace e su imprese commerciali e artigianali diffuse: restano come prova il fatto che coniasse una propria moneta fin dal V secolo a. C. e le testimonianze archeologiche relative a fabbriche di ceramica e di oggetti metallici; a partire dal I sec. d. C. è inoltre nota la produzione di vasi detti appunto "aretini", mentre il passaggio della via Cassia dal centro urbano dovette favorirne ulteriormente i traffici. Nel Medioevo, raggiunto l'apogeo all'inizio del Trecento con una popolazione ipotizzabile di circa 13.000 abitanti, dovette soffrire sia dal lato demografico che da quello economico un forte arretramento, in conseguenza anche della perduta autonomia; così la popolazione dalla seconda metà del Trecento a metà del Cinquecento oscillò sui 5.000-7.000 abitanti e solo alcuni imprenditori dell'arte della lana paiono aver goduto di un certo rilievo economico insieme ai tradizionali detentori di proprietà fondiarie. La situazione non mutò di molto nei secoli dell'età moderna, quando accanto ai proventi dell'attività rurale Arezzo poteva contare soprattutto sulla presenza di cave di pietra "bigia" e serena, su una miniera di rame, su alcune fornaci per la fabbricazione di laterizi e sull'attività tessile; nella prima metà dell'Ottocento il quadro produttivo annoverava invece tre lanifici, due tintorie, quattro concie di pellame, sette fabbriche di cappelli e ancora una vetreria e la produzione di manufatti di ferro e di va5cllam. L'industrializzazione del Novecento fu nei primi decenni del secolo costituita soprattutto da uno stabilimento per la costruzione di materiale ferroviario e dalla presenza dell' industria chimica, ma solo nel secondo dopoguerra si è assistito a un accentuato sviluppo in questo senso, quando al tradizionale ruolo di mercato agricolo e di importante nodo viario si è aggiunta una vocazione imprenditoriale diffusa, particolarmente attiva nei settori metalmeccanico, dell'oreficeria e della bigiotteria e in quello delle confezioni. La struttura economica dell'aretino ha subito nell'arco dell' ultimo trentennio profonde trasformazioni, passando da un assetto prevalentemente agricolo a uno di tipo industriale, e registrando nel contempo, soprattutto negli ultimi dieci anni, una marcata espansione della rete distributiva e dei servizi, fenomeno collegabile anche alla presenza e allo sviluppo di un'industria manifatturiera di tipo leggero. Artefici ditale processo evolutivo, nell'immediato dopoguerra, sono state in specie l'industria orafa e metalmeccanica; nel corso degli anni sessanta hanno invece assunto crescente rilievo, nella struttura produttiva, il settore del vestiario e dell'abbigliamento, quello calzaturiero, del mobile e dell'arredamento. Complessi industriali e artigianali operano attualmente negli stessi settori, in quello del vetro, della fabbricazione dei laterizi e delle mattonelle. L'edilizia pro sperava negli anni della ricostruzione postbellica e in quelli seguenti caratterizzati da forte urbanizzazione, attraversando di recente un periodo di crisi. L'artigianato è fiorente specie per quanto riguarda li incisioni in legno, le ceramiche, le tappezzerie e la pelletteria. L'agricoltura, che continua comunque a rivestire un ruolo significativo nell'economia locale, ha una ricca e variegata produzione: i terreni alluvionali pianeggianti danno grano, patate, pomodori, barbabietola da zucchero, fagioli e frutta. Nelle zone collinari si praticano colture promiscue di grano, foraggi, viti (Chianti dei colli aretini) e olivi, mentre le zone montane sono adibite al pascolo e alla silvicoltura. Per quanto riguarda il patrimonio zootecnico, sono in continuo incremento e sviluppo l'allevamento suino e l'avicoltura; viceversa, a causa dei costi assai elevati, si è verificata una progressiva riduzione dei capi di bestiame bovino, oggetto in passato di un attivo commercio. Bellezze paesaggistiche e artistiche, feste e rappresentazioni tradizionali, quali la Giostra del Saracino, il Polifonico e la fiera antiquaria, che si tiene ogni prima domenica del mese, attirano nella città e nei suoi dintorni un buon flusso turistico. La popolazione totale del territorio comunale raggiunge, nel 1991, le 91.626 unità con una densità di 238 abitanti per kmq. Nel passato Arezzo contava 22.698 abitanti nel 1551, per scendere a 17.610 nel 1745; dall'inizio dell'Ottocento inizia una crescita rapida e costante: nel 1830 il comune conta 28.806 abitanti, nel 1881 ne conta 38.950 e 60.665 nel 1936. Al censimento del 1951 la popolazione totale raggiunge le 67.937 unità che divengono 74.992 nel 1961, 87.330 nel 1971 e 92.105 nel 1981.